Il percorso verso la santità
BENEDETTA: LA SANTITÀ META NEL CAMMINO DI FEDE E DI AMORE PER LA VITA
Chi, o che cosa ha condotto Benedetta a vivere in maniera così straordinaria e pacificata un’esperienza tanto problematica e dolorosa come quella della sua malattia? Fino ai ventiquattro anni, nei suoi scritti, Benedetta non mostra segni particolari di santità: è una ragazza normale, affezionata ai suoi familiari; le piace leggere, le piace la musica, ama la natura, si impegna negli studi, avverte il disagio delle sue condizioni fisiche.
Un tratto in particolare, però, merita di essere sottolineato, perché è come un filo rosso che collega tanti altri aspetti: Benedetta ama e non smetterà mai di amare profondamente la vita. “Che bello vivere” (1945), “Io penso che cosa meravigliosa è la vita” (1958). E, nella vita, cerca di trovare il suo posto, mirando anche in alto: “Vorrei poter diventare qualcosa di grande” (1949).
L’esperienza di una malattia degenerativa, che la consuma a poco a poco, la spinge a porsi con particolare intensità le domande fondamentali di senso: qual è il significato, qual è lo scopo di un’esistenza come la sua?
La grandezza di Benedetta sta nel fatto di non essersi chiusa in se stessa, nella rabbia, nello sconforto, nell’autocommiserazione: piuttosto ha saputo mantenersi sempre in dialogo. In dialogo con le pagine e con i grandi autori della letteratura, che l’avevano appassionata perché parlavano dell’uomo e della vita: Lermontov, Pasternak, Conrad, Tolstoj, Dostoevskij, Wilde, Shaw, Montale, Bernanos… In dialogo con la Parola di Dio: Benedetta legge e medita i Salmi, le lettere di Paolo, il Vangelo. In dialogo con i santi: “Leggo san Francesco. Amo tanto san Francesco e sant’Agostino, perché sono due abissi d’amore” (1963); anche santa Teresa di Lisieux è tra le figure a lei più care. In dialogo con le persone: con i tanti amici a cui costantemente scrive e da cui riceve lettere, con i sacerdoti che l’hanno conosciuta, le scrivono e la vanno a trovare. In dialogo con Dio. Non si capirebbe appieno l’umanità e la santità di Benedetta, senza tener conto di questa sua capacità e desiderio di dialogo, di confronto, di ricerca di senso.
Negli ultimi anni il dialogo con Dio si approfondisce, si intensifica e porta a maturazione tutto il precedente percorso umano e cristiano di Benedetta. Le si fa sempre più chiaro il fondamento e il senso del suo esistere: “Cara mamma, […] quanto a me sto come sempre, ma da quando so che c’è Chi mi guarda lottare cerco di farmi forte: com’è bello così!! Mammina, io credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla Sua Croce gloriosa. Sì, io credo all’Amore! […] Prima lo sentivo così lontano. Ora so invece che Dio è dappertutto anche se noi non lo vediamo; addirittura il “regno di Dio è in noi” (1961). A poco a poco, e nell’ultimo periodo della sua vita sempre più chiaramente, Benedetta ha trovato il senso del suo esistere: offrire se stessa, con tutto il peso della propria malattia, per amare il Signore e per farlo amare.
Ai sofferenti di oggi, ai tanti disperati che faticano a trovare un senso per l’esistere e un motivo che permetta di affrontare il dolore, Benedetta offre la sua testimonianza fatta di passione per la vita, di una fitta rete di rapporti umani, di un’incrollabile fiducia nell’Amore.
DECRETO SUL MIRACOLO
La Venerabile Serva di Dio Benedetta Bianchi Porro nacque a Dovadola, in provincia di Forlì, l’8 agosto 1936 e per gravi motivi di salute la madre le amministrò subito il Battesimo. Nel 1944 ricevette la Prima Comunione. Nel 1951 la famiglia si trasferì a Sirmione, sul lago di Garda. Benedetta fu condizionata per tutta la vita dalle malattie, a partire dalla poliomielite che la rese claudicante e la costrinse a portare delle scarpe ortopediche pesanti e dolorose; riuscì a compiere gli studi liceali, senza tuttavia poter concludere quelli universitari. Le venne, infatti, diagnosticata una neurofibromatosi diffusa e progressivamente perse vista e udito, gusto e odorato, avviandosi a rimanere immobilizzata a letto. Nel maggio del 1962 potette concretizzare il desiderio di recarsi in pellegrinaggio a Lourdes, dove con maggiore consapevolezza scoprirà come propria vocazione la croce. Con l’avanzare della malattia, comincerà a comunicare attraverso la mamma, che conosceva un alfabeto convenzionale fatto di segni sul viso o usando le dita della mano destra, unico membro rimasto sensibile. Il 23 gennaio 1964 la Venerabile Serva di Dio si addormentò serenamente nel Signore. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel 1993 ne riconobbe l’eroicità delle virtù.
In vista della sua beatificazione, la Postulazione della Causa ha sottoposto al giudizio di questa Congregazione delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa di un giovane. L’evento si verificò a Genova nel 1986. Il 21 agosto di quell’anno il giovane ventenne, studente universitario, mentre era alla guida della sua potente motocicletta, venne tamponato da un’automobile e sbalzato violentemente a terra. Fu soccorso immediatamente da un infermiere e venne trasportato con l’autoambulanza presso il pronto soccorso dell’Ospedale Sampierdarena; da lì venne trasferito con prognosi riservata all’Ospedale San Martino di Genova. Qui i medici considerarono di una gravità estrema la sua condizione, senza alcuna speranza di sopravvivenza, tanto che gli stessi medici chiesero ai suoi genitori l’autorizzazione per l’espiantazione degli organi. Il giorno successivo al ricovero, il paziente si trovava in coma profondo, con pupille miotiche reagenti, risposta in estensione dell’arto superiore sinistro, minima risposta incoordinata motoria destra in accentuata triplice flessione, Babinski bilaterale.
A partire dal giorno del drammatico incidente si mise in atto una crociata di preghiera per la guarigione del paziente alla Ven. Serva di Dio, della quale pochi giorni prima la madre del giovane era venuta a conoscenza. Parenti e amici si unirono a lei e svolsero una novena con invocazioni sia personali che corali, durante la quale la situazione clinica del ragazzo improvvisamente si modificò e si potette constatare la sua completa guarigione. Ulteriori accertamenti ne hanno confermato la validità.
Appare evidente la concomitanza cronologica e il nesso tra l’invocazione alla Serva di Dio e la guarigione del giovane, che in seguito ha goduto di buona salute ed è stato in grado di gestire una normale vita relazionale.
Sulla guarigione, ritenuta miracolosa, presso la Curia ecclesiastica di Genova dal 20 novembre 2013 al 14 marzo 2014 fu istruita l’Inchiesta diocesana, la cui validità giuridica è stata riconosciuta da questa Congregazione con decreto del 20 giugno 2014. La Consulta Medica del Dicastero nella seduta del 25 gennaio 2018 ha riconosciuto che la guarigione fu rapida, completa e duratura, inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche. Il 26 aprile 2018 si è tenuto il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. Il 3 luglio 2018 ha avuto luogo la Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi, presieduta dal Card. Angelo Amato.
Et in utroque Coetu, sive Consultorum sive Cardinalium et Episcoporum, posito dubio an de miraculo divinitus patrato constaret, responsum affirmativum prolatum est.
Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Francisco per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de miraculo a Deo patrato per intercessionem Ven. Servae Dei Benedictae Bianchi Porro, Christifidelis Laicae, videlicet de celeri, perfecta ac constanti sanatione cuiusdam iuvenis a “politrauma con trauma cranio-cerebrale e coma grave, verosimile danno assonale diffuso”.
Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit.
Datum Romae, die 7 mensis Novembris a. D. 2018.
ANGELUS Card. BECCIU
Praefectus
+ MARCELLUS BARTOLUCCI
Archiep. tit. Mevaniensis
a Secretis