Sentirsi Benedetta

Sentirsi Benedetta

Spettacolo teatrale a cura del gruppo GardArt (Desenzano)

Spettacolo all’aperto che inizia al buio ore 21. Certo le giornate di settembre spargono presto le loro ombre.. Ma… sono le luci artificiali, quelle dello spettacolo che il pubblico si aspetta, a non accendersi su un

palco buio che attende gli attori in scena. Buio prolungato non per molto, ma sufficiente per insinuare un filo di indecifrata inquietudine che avverte gli spettatori che si sta per entrare nella storia della vita di una persona, Benedetta Bianchi Porro, che ha conosciuto un buio sensoriale come pochi, ma che in quel buio ha visto zampillare la luce.

Certo il buio colpisce, come l’attesa disattesa, come un silenzio carico di parole che lievitano nell’ombra,

come un’adolescenza traboccante di vita che s’imbatte nella malattia, come una promessa non mantenuta, come un corso di studi interrotto perché le forze, gli involucri fitti dei tessuti di un corpo non possono legarsi alla volontà, ai desideri, ai sogni.

Lo srotolarsi del filo di una vita è costellato da rapidi tocchi che inchiodano alle sedie e che prorompono

da quello che Laura racconta e canta con voci così lontane e così vicine da far rivivere i giorni di una ragazza che vorrebbe correre ad inseguire la sorellina, vorrebbe ancora e ancora che la finestra non venisse chiusa sui riverberi di luce e che pur nell’inarrestabile affievolirsi dei sensi, non dimentica la sua canzone preferita, quella della Rondinella, che Benedetta-Laura canta con un filo di voce e tuttavia riesce a sostenere un volo. Un arrivo? Una partenza? Da dove? Per dove?

Un viaggio, comunque, che alla giovane è toccato di compiere. Le è toccato, appunto: una sofferenza non amata, non cercata, non voluta. Semplicemente accettata. Ancor più: trasfigurata. E da dove le venisse questa forza è la domanda che attraversa la trama di tutto lo spettacolo.

Dalla Fede, si potrebbe rispondere. E la forza per avere questa Fede da dove? Dalle parole-musica che ci arrivano dal palco quello che riesco a cogliere è che quella Fede si nutriva mescolandosi alla vita degli altri, ai loro sogni, incertezze, ricerche, come in un “telaio”, come dice Benedetta.

Assottigliata nel corpo, la sua essenza si fa più nitida, più forte, più chiara. E probabilmente diventa riferimento per tanti alla ricerca della propria essenza. Questo spettacolo apre porte che non ti aspettavi, perché ti costringe a chiederti in maniera assolutamente personale “Chi sono Io?” quando la malattia mi mette completamente a nudo, mi inchioda davanti ai miei limiti. E insieme a quella domanda c’è quella che ci fa Gesù “Chi credete che io sia?”, cioè “Chi sono io per te?”. Grazie a Benedetta, e a Laura e Gianluigi che si sono addentrati nel filo della sua vita che hanno svolto e riavvolto con tanta delicatezza. E quel buio iniziale si stempera alla fine in questa ritrovata Luce che ci contagia, ci interroga sulla vita e sulla morte non come cosa che riguarda altri, ma inesorabilmente ciascuno di noi.

Due spettatrici di una replica